Archivi tag: Antonietta Portulano

Parla di Nephelai…

mia elaborazione di una schermata della home page di PirandelloWeb

mia elaborazione di una schermata della home page di PirandelloWeb

Forse qualcuno ricorderà quando emozionata ho riferito d’esser stata ospitata tra i contributi del sito-portale PirandelloWeb (che invito tuttora a sostenere)…

Qualche tempo invece fa ho ricevuto un messaggio da parte di Michaela Di Cesare, assai interessante  commediografa canadese (vincitrice dei MECCA awards nel 2011 ‘for Best

Accoglienza di 8 ways… di M. Di Cesare

Text’), che mi ha chiesto un’informazione relativa ad Antonietta Portolano, la moglie di Luigi Pirandello, sulla quale sta scrivendo.

Antonietta Portolano

Antonietta Portolano

Sono ben lieta della possibilità d’esser stata “tempestivamente” utile alla Lettrice e all’Artista, nel mio “In morte di Antonietta“, ed ivi l’ho peraltro ringraziata per avermi dato modo di aggiungere al post, dopo la mia ricerca, la notizia che Lei cercava.

Ringrazio ancora di cuore l’attenta scrittrice per aver ritenuto di segnalare il contributo e la mia pagina su Antonietta sul suo Diario di Facebook, con parole di stima nei confronti miei, dello studio e della passione che mi animano:

«This wonderful Italian scholar and blogger absolutely saved my life by telling me where Antonietta is buried.
I’m so saddened by how close I came to the site this past summer in Rome. I wish I had visited you, Mrs. Pirandello».

Veduta cimitero monumentale Verano immagine già su web Romasparita.eu

Veduta cimitero monumentale Verano. immagine già su web Romasparita.eu

Condivido anch’io il desiderio di soffermarmi sulla tomba di Antonietta: e quanto di più peraltro avrei voluto visitare la casa di Pirandello in via Bosio, o meditare accanto alla sua (involontaria) sepoltura…

Il Villino di via Antonio Bosio in una foto d'epoca via web studiodiluigipirandello.it

Il Villino di via Antonio Bosio in una foto d’epoca via web studiodiluigipirandello.it

La tomba di Pirandello al Caos, via http://pirandellowebblog.blogspot.it

La tomba di Pirandello al Caos, via http://pirandellowebblog.blogspot.it

Felice e grata di aver avuto la possibilità di entrare in contatto con chi guarda con occhi e cuore d’artista la figura di Luigi Pirandello e di quanti gli furono intorno, ringrazio ancora Michaela, e resto in attesa di poter leggere la commedia in preparazione, augurandole ogni bene.

E’ così suggestivo sentir ‘vivere’ quali personaggi il Maestro e la sua famiglia, i suoi cari, e insieme coglierne i palpiti di vita nella nostra, e talora gli spasimi: più ancora forse sentirli vivere, pirandellianamente, avendo acquisito una propria autonomia, nelle mille sfaccettature prismatiche delle risonanze che ognuno di noi percepisce ed esprime, nella passione per la lettura e talora nell’empatia che risentiamo per Luigi Pirandello…

..et quod sequitur…
Maria Amici


In morte di Antonietta

Ugo Fleres: Ritratto di M. Antonietta Portulano

Ugo Fleres: Ritratto di M. Antonietta Portolano

Il 17 dicembre 1959 moriva Maria Antonietta Portolano*, che tanto segnò l’avventura umana, spirituale e artistica del marito, Luigi Pirandello.
–Egli l’aveva preceduta quasi d’un quarto di secolo– .

Antonietta PortulanoIl figlio Fausto – e oggi anche questa pagina (per rispetto, senz’altri commenti) – la ricorda in una «riflessione amara, per nulla consolatoria… degna del destino tragico di Antonietta»: così la riprende La copertina di "Vivere con Pirandello" di Maria Luisa Aguirre D'Amiconel suo Vivere con Pirandello la nipote di questi, figlia di Lietta, Maria Luisa Aguirre D’Amico (al libro –Milano 1989–, abbiamo già accennato su Nephelai qui e qui)

“Ah, no, non posso piangere questi altri morti quando mi sono, zitto zitto, inghiottito tra l’indifferenza di tutti, la stretta partecipazione di tutti,

Luigi, Antonietta, Lietta e Fausto in una fotografia che fu inviata a Stefano sottotenente prigioniero a Mauthausen tra il 1915 e il 1918 - This photograph is in the public domain in Italy, L.633/1941

Luigi, Antonietta, Lietta e Fausto in una fotografia che fu inviata a Stefano sottotenente prigioniero a Mauthausen tra il 1915 e il 1918 – Fotografia in pubblico dominio – This photograph is in the public domain in Italy, L.633/1941

questa casa squallida, questa tremendamente irrimediata miseria, e tutta la mia miseria venuta a galla, questa viltà eroica, tant’è spudorata e scoperta. L’essermi sentito insieme così chiamato a essere partecipe, eppure restato così distante, così discosto dalla cosa veniente e poi avvenuta. L’annullamento di un nulla.

Un nonnulla, la propria madre, una quisquilia di affetto materno, una cura peregrina, astratta, un timore atavico, un’apprensione vaga e incerta: la vita si avesse a riscontrare alla morte, o al semplice dolore, o all’irregolare deforme.

Fausto Pirandello: Ritratto di Luigi Pirandello, 1936 da «Meridiano di Roma» 20 dicembre XV [1936] p. VI - via web, da Istituto Studi Pirandelliani

Fausto Pirandello: Ritratto di Luigi Pirandello, 1936 da «Meridiano di Roma» 20 dicembre XV [1936] p. VI – via web, da Istituto Studi Pirandelliani

Ma era già deforme la sua grave vecchiezza, la squallida età dai moti lenti, dal fiato corto, dai voleri aggiogati, dai ricordi spenti. Una constatazione di elementi disunentisi”.


Nota

*M. Antonietta Portolano “fu sepolta accanto al genero e al nipotino**. Sulla pietra tombale ci sono due cognomi: Aguirre Pirandello. Nella piccola tomba del cimitero romano […] del Verano […] riposa anche Lietta, dal marzo 1971”  [dal citato Vivere con Pirandello, p. 174].


** [Manuel Aguirre e Manolo Aguirre Pirandello, rispettivamente marito e figlio primogenito di Lietta].

La nota risponde alla gentile domanda rivoltami da Michaela Di Cesare, commediografa canadese, che ringrazio dell’attenzione dimostratami.

et quod sequitur

Maria Amici


“Acqua amara”, Novella di Luigi Pirandello

– Novelle per un anno –

Acqua amara

Novella di Luigi Pirandello, pubblicata dapprima su Il Ventesimo, 15 ottobre e 22 ottobre 1905, poi ne La vita nuda, Treves 1910; e nel secondo volume di Novelle per un anno, La vita nuda, Bemporad 1922. In tale edizione, qui ripresa, è reperibile sul meritorio PirandelloWeb.

La fisicità, la carnalità, patetica, una volta di più viene caricata da Pirandello di tutta l’amarezza innescata dall’esistenza stessa: una maschera tragica incollata all’uomo. Umoristica anzi. Lontana dall’estetismo purulento dannunziano della

«carne che domani può essere un pallido sacco d’acqua amara».

I due interlocutori della prima sezione della novella sembrano infatti, nel gioco delle apparenze appunto, ai poli opposti di un’umanità squallida.

Grosso facondo invadente, uno. Ingombrante, sul sediletto e nella vita, come quegli «strepitosi ronfi» che doveva probabilmente «tirar col naso durante la notte» per poter respirare, ingombro com’era egli stesso da tutta quella pinguedine.

L’altro, «magro da far pietà», disperso nel suo stesso abito.

Il primo pretende addirittura, nella propria stolida espansività, d’esser famoso nelle Terme, dove entrambi si trovano ed egli è un habitué, e ugualmente di saper individuare il male di cui soffra l’altro: mal di fegato… se è sposato.

Nella sua crassa egocentrica ‘vitalità’ recuperata, e certo sovrabbondante, gli pare anzi di poter impartire al «patituccio» interlocutore una lezione di vita, una sorta di propaganda preventiva.

La vita nuda, ed. Bemporad, 1922: la copertina della prima edizione

La vita nuda, ed. Bemporad, 1922: la copertina della prima edizione

La spiegazione superficiale secondo cui Pirandello individuerebbe un nesso cogente tra matrimonio e malattia, tra matrimonio e una serie di disgrazie, è spesso avanzata da molti critici anche peraltro lucidamente staccandola da ogni consequenzialità rispetto alle vicende private dello scrittore, e la si riconosce – superficialmente e per rimodulazioni – da Il Fu Mattia Pascal a Uno nessuno e centomila, dal terribile La trappola a Il treno ha fischiato e La carriola, da Zia Michelina a Nenè e Ninì a Prima notte, a Il Professor Terremoto a La signorina a Notte,  a Il viaggio a La buon’anima a Pensaci Giacomino! a Pena di vivere così a Tutto per bene, a Sei personaggi in cerca d’autore… e l’elenco, che già ignora casi macroscopici, continuerebbe.

Ed ecco che infatti al personaggio narrante, il quale con ineffabile eleganza non si perita di esplicitare quale nauseato e nauseabondo effetto gli producesse, già solo che si parlasse dell’argomento, il matrimonio appare quale causa scatenante di fastidi, disagi, seccature, l’uno dopo l’altro.

Senza che destinatario del discorso e lettore siano guidati a rendersi conto più di tanto dell’a sua volta ributtante cinismo dell’uomo, poiché sapientemente ‘contrabbandato’ dalla focalizzazione del parlante tutta calata peraltro in un contesto sociale ieri come oggi degradato, questi sciorina le proprie prodezze: risiedeva a Napoli, dove in un «quartierino da scapolo» conviveva con la figlia di un usuraio – nella ‘galleria’ pirandelliana un’altra giovane donna infelice a causa della condizione femminile di inferiorità, costretta dalla povertà e dalla grettezza della famiglia di origine e non solo… –

La vita nuda Mondadori copertinaEra intervenuta tuttavia a mutare la comoda situazione un’epidemia di colera, mistificata dalla «religiosissima» (e l’Autore intende: bigotta) madre del protagonista come una punizione divina per lo stato di «peccato mortale» della sua vita depravata, non meno che da lui stesso, che tale epidemia intende egoisticamente come la causa di un proprio disagio.

Come Filumena Marturano nell’omonimo dramma di Eduardo (del 1946), non sappiamo con quanta premeditazione, anche la giovane, sposata in periculo mortis, si riprende istantaneamente, almeno così sostiene il narrante:

«Ma che fu? mano santa? miracolo? Pareva morta, guarì!»

In più, sempre per il ‘provvidenziale’ colera, la fresca sposa aveva ereditato dalla morte della propria famiglia una somma ragguardevole: e la dote, come talora in altre occorrenze nelle novelle, nella situazione sociale contemporanea (e non serve citare la stessa biografia di Pirandello ma lo stesso dato socioculturale), le conferì potere nel ménage matrimoniale.

Naturalmente, peraltro, non è da trascurarsi l’influenza determinante della prospettiva del narrante sul racconto, e della sua sedicente attitudine «fi… filosofesca» – così suona l’aggettivo quando egli si spinge ad usarlo, con un qualche dilettantismo, proponendo una propria rivisitazione della distinzione fisiologica e antropologica in generi.

In caustica presentazione delle attitudini del narratore, l’aggettivo oggi parrebbe una risposta… preventiva, e autoironica, alla –grevemente ideologizzata – critica di Antonio Gramsci al “verbalismo pseudofilosofico” di Pirandello nella recensione del Giuoco delle parti sull’edizione torinese dell’“Avanti!” dell’ancora lontano 6 febbraio 1919.

«Ora senta. Sarà che io mi trovo in corpo un certo spiritaccio… come dire? fi… filosofesco, che magari a lei potrà sembrare strambo; ma mi lasci dire.
Crede lei che ci siano due soli generi, il maschile e il femminile?
Nossignore.
La moglie è un genere a parte; come il marito, un genere a parte»,

per concludere con la stravagante – e impudente – deduzione:

«E, quanto ai generi, la donna, col matrimonio, ci guadagna sempre. Avanza! Entra cioè a partecipar di tanto del genere mascolino, di quanto l’uomo, necessariamente, ne scapita molto, creda a me».

E giù, il narrante, con una serie di esempi di battibecco tra i coniugi, sfocianti un’ulteriore sentenza ‘filosofescheggiante’: in cui l’elemento soggiacente di realismo, per di più banalizzato – che con l’andar del tempo gli sposi siano portati, specie i più superficiali, a non vedersi e riconoscersi l’un l’altro più, fisicamente e non, per quelli che erano al momento del matrimonio – viene fagocitato da ovvietà non troppo sorprendenti in chi consideri la focalizzazione fortemente maschilista, meschinamente materialistica:

«Già, come la moglie nel marito non vede più l’uomo, così l’uomo nella moglie, a lungo andare, non vede più la donna»

affermazione condita con un’altra paradossale ‘perla’, una cosciente menzogna, se non soggettiva del parlante, almeno oggettiva, e quanto meno parziale:

«L’uomo, più filosofo per natura, ci passa sopra; la donna, invece, se ne offende; e perciò il marito le diventa presto increscioso e spesso insopportabile».

Intrepido, il personaggio narrante prosegue a disquisire la natura dell’amore per le donne, che

«più che amore è una cert’aura di ammirazione di cui ella vuol sentirsi avviluppata»,

un’ammirazione che, secondo la sua materialistica, egocentrica visione, il marito non può più accordare alla donna nel suo aspetto quotidiano, nei malanni che le incorrano, sottratti alla vista degli ammiratori esterni come di lui stesso quando era tale. Sovrapponendo alla donna questa sorta di layer, è anzi per lui consequenziale spiegare quella che gli altri esponenti del suo sesso, come afferma, chiamano «incomprensibilità» della donna con l’enigmaticità, il riserbo sul proprio reale sentire, cui è tenuta a causa dell’occhio sociale, che peraltro

«reca a colpa a lei quel che invece reputa naturale per l’uomo»:

Pirandello tra il 1905 e il 1907 - This photograph is in the public domain in Italy, L.633/1941

Pirandello tra il 1905 e il 1907

coglie così un aspetto non estraneo – anzi uno dei fondativi – alla concezione pirandelliana, il mancato riconoscersi, l’inconoscibilità all’altro, ma banalizzandolo, mistificandolo, e fondendolo con l’interesse subdolo della donna, seduttrice e megera insieme, a mostrarsi all’uomo come possa piacerle e non come è.

E l’uomo? no, egli per il narrante non ha colpe: quale poteva essere, la sua colpa infatti? Che dopo sposato avesse, per lui tragicamente, cominciato a

«vedere in lei non soltanto il piacere, ma anche quella bruttissima cosa che è il dovere»?

Addirittura nella sua continuata mistificazione (in cui peraltro ‘casca’ persino qualche studioso), questo personaggio ben gretto, espressione non solo di una classe sociale avvilita (come invece spiegano altri studiosi) ma di un’umanità insignificante, di impossibile eroicità, si pretende esser diventato «marito esemplare» e che ciò alla moglie desse «terribilmente ai nervi».

Ecco che, come al solito, il matrimonio ‘pirandelliano’, così raramente realizzato per motivi congrui, e chiara metafora, esplode:

«Cominciò per noi una vita d’inferno. Lei, sempre ingrugnata, spinosa, irrequieta; io, paziente»…

(il corsivo naturalmente è una sottolineatura della prospettiva del personaggio).

Ma «la più grossa delle bestialità», continua il narratore autodiegetico, l’uomo ormai l’aveva commessa, e il matrimonio, connotazione usuale, si era chiuso su di lui come una condanna, come una trappola.

La particolarità della novella è però che pur nella focalizzazione impudentemente incredula, in cui le ‘indagini’ del marito che non riesce a strologare le ragioni del comportamento ‘stupefacente’ della moglie non portano ad alcun frutto verosimile

– «non riuscivo però a indovinare, che diamine volesse mia moglie. Ma avrei sfidato chiunque a indovinarlo! Sa che voleva?» -,

la prospettiva subisce un capovolgimento presentato come inaspettato e assurdo, ma alla cui comprensione tanti ‘specchi’ pirandelliani hanno guidato il lettore:

«Voleva esser nata uomo, mia moglie. E se la pigliava con me perché era nata femmina.
Uomo, – diceva, – e magari cieco d’un occhio!”»

Anche senza scomodare improbabili influenze freudiane – agli specifici concetti di “invidia del pene” e di connessa svalutazione della femminilità Freud giunge nello scritto Teorie sessuali dei bambini del 1908 mentre la novella lo precede di tre anni – rileviamo, man mano che il litigio fra i coniugi prosegue, che ugualmente s’incrementano la sfacciata miopia dell’uomo, l’ipocrisia, le sue resistenze nell’accettare che la moglie facesse propri i di lui stessi comportamenti, una volta che si fosse calata – non più che nell’immaginazione, questa woolfiana ‘orlando’ – nei più comodi abiti maschili:

« – Dunque tu credi che con le donne ci si possa spassare?
Mia moglie mi guardò nel fondo degli occhi.
– Lo domandi a me? – mi disse. – Tu forse non lo sai?
Io non avrei preso moglie anche per non far prigioniera una povera donna.
– Ah, – esclamai. – Prigioniera ti senti?
E lei:
– Mi sento? E che sono? che sono stata sempre, da che vivo? Io non conosco che te. Quando mai ho goduto io?
– Avresti voluto conoscer altri?
– Ma certo! ma precisamente come te, che ne hai conosciute tante prima e chi sa quante dopo!»

manoscritto di Pirandello

manoscritto di Pirandello

Lo statuto della donna, nella graffiante persistente, ironica negazione, emerge inequivocabile. E «prigioniera», si può notare, la donna è veramente: non solo, come ella afferma, dell’uomo, del matrimonio sbagliato, della impossibilità di una emancipazione e di un’autonomia e addirittura di una vita sociale adeguata se non nel solco e ‘al soldo’ dell’uomo.

Intervengono altresì, infatti, motivi che ella, il personaggio femminile – pur spesso dotato di una lucidità, di un’autonomia e decisionalità assai più attivi che gli uomini pirandelliani ‘inetti’ delle novelle (e non solo) – neppure intuisce, ribadendo la sudditanza del suo genere non soltanto al maschio ma a convenzioni e condizioni definite storicamente, socialmente, radicate così indietro nel tempo in contesti atavici da parere strettamente connesse alla natura stessa, allo stesso status di genere: femminile piuttosto che maschile. E la storicità, la società, che hanno sclerotizzato quelle condizioni pur spregevoli, spregiudicate, meschine, ella non sa – né naturalmente può – superarle.

In fondo è una donna schiava non solo del maschio ma persino della maschilità. Di com’essa – con profondo spirito pirandelliano, insomma – viene intesa.

Ella non sa vedere un’alternativa ad un modello esistenziale e sociale deteriore, quello che se – nel corso dei secoli – ha finito per privilegiare l’uomo, lo ha reso ugualmente schiavo: semplicemente lo raddoppia, lo pretende anche per sé. In fondo, tale arresto critico rende la novella oggi come oggi di intramontabile attualità.

Mimmo Paladino Pirandello, 2010 Acquaforte (20,5 x 14,5 cm) 70 esemplari numerati e firmati su carta 20,5 x 14,5 cm Editore - DragoTornando alla prospettiva maschile, il narrante, sempre più esterrefatto per quanto nel suo distacco «fi… filosofesco», con l’aria di denunciare, per quanto assurda!, un’aberrazione non solo sociale, ammonisce l’interlocutore, continuando le proprie ‘rivelazioni’:

«Dunque, signor mio, tenga bene a mente questo: che una donna desidera proprio tal quale come noi. Lei, per modo d’esempio, vede una bella donna, la segue con gli occhi, se la immagina tutta, e col pensiero la abbraccia, senza dirne nulla, naturalmente, a sua moglie che le cammina accanto? Nel frattempo, sua moglie vede un bell’uomo, lo segue con gli occhi, se lo immagina tutto, e col pensiero lo abbraccia, senza dirne nulla a lei, naturalmente».

Quindi pare correggersi, incapace tuttavia sia di convincersi realmente, pur affermandolo, che non sia poi così «straordinaria» l’uguaglianza di reazioni e sensazioni tra uomo e donna, sia di sentirla quale

«cosa ovvia e comunissima nella propria moglie, prigioniera col corpo, non con l’anima»:

e anzi neppure con il corpo,

«se trovano cioè un uomo risoluto».

In fondo, non pare esser trascorsa evoluzione da quando per definire una donna adultera gli antichi Greci, due millenni e mezzo prima, utilizzavano il passivo:  “adulterata”…

Ormai paradossalmente pacifico, in quest’ottica puramente corporea ed animale, carnale appunto, l’automatismo per cui l’uomo all’«opportunità» di sedurre e tradire non possa resistere, …il parlante trova eclatante che «sia proprio lo stesso per la donna» e di questa scoperta ammaestra.

«Dica un po’: non abbiamo noi uomini la coscienza che, avendo un’opportunità, non sapremmo affatto resistere? Ebbene, s’immagini che è proprio lo stesso per la donna».

E’ proprio il matrimonio, nella poetica pirandelliana, il ‘segno’ dell’elemento di spaccatura che spesso complica le situazioni e le persone frammentandone l’identità e rendendole irriconoscibili nel loro parossistico giuoco delle parti.

E se così frequentemente una delle metafore della malattia del vivere pirandelliano è il matrimonio, il narrante …non poteva presto non ammalarsi gravemente, di fegato. E

«il rimedio doveva trovarlo qua»,

alle «terme», dove la novella è appunto ambientata*.

Appena una pallida eco vive, nella novella, delle qualità purificatrici e rigeneranti dell’acqua nelle novelle pirandelliane: archetipo ancestrale e mitico cui sa peraltro aderire la donna, non l’uomo, ed anzi qui stravolta, contorta. E infatti, per quanto la novella sia scandita dal ritmo e dagli inviti a bere

(«Beva. Bevo anch’io», «ribeviamo», «diamo ancora una bevutina» sino al finale «Vogliamo andare per il secondo bicchiere?»),

non nel senso letterale l’uomo ha avuto bisogno delle terme, per guarire.

Porta Rivellini a Chianciano Terme vecchia - immagine reperita su web

Porta Rivellini a Chianciano Terme vecchia – immagine reperita su web

Alle Terme, rievoca il narrante, aveva chiesto una visita medica, e gli si era presentato un «bellissimo corvo», l’«aitante», severo, tenente medico di cui si favoleggiavano (il solito, pirandelliano, attentissimo occhio sociale!) le dimissioni per amore, per sposarsi: tuttavia en passant l’autore non manca di rilevare implicitamente come amore, matrimonio – riparatore –, dimissioni fossero la conseguenza di un comportamento non esattamente corretto da parte dell’uomo.

Il sacrificio era stato, ironicamente, «ricompensato dalla sorte» (con corredo patetico del punto d’osservazione sdilinquito del pubblico femminile giù citato) con la morte della donna e della figlioletta:

«quelle due disgrazie […] gli si leggevano ancora scolpite in tutta la persona, impostata che neanche Carlomagno»

nota caustico il narrante e quegli, tra le ospiti femminili, vogliose tutte di «consolarlo», «faceva furore».

Contribuiva sapientemente al suo fascino il suo «sdegnoso» sprezzo di tali attenzioni: e non meno consapevolmente, se il narrante – e l’autore – si premurano di rilevare con un tocco veloce che l’ostentata indifferenza al gentil sesso non era appunto che ipocrisia. Dopo aver visitato il narrante, e avergli prescritto la terapia termale, il medico… «finse d’accorgersi» della presenza della moglie di lui.

Ha inizio a questo punto il minuetto, ben mascherato dalla finzione scenica, la cura termale: l’uomo fa avances, la donna si schermisce.

Il marito, corpaccione ma «anima mingherlina», si sente subito meglio, mercé l’aria, l’acqua, la «dolcezza della campagna» e quant’altro: ma naturalmente è la moglie che subito… cade ammalata.

« – Ma – non so se lei lo ha già supposto – cominciò a sentirsi male mia moglie.
Non diceva anemia, perché lo aveva detto il medico; diceva che si sentiva una certa stanchezza al cuore e come un peso sul petto che le tratteneva il respiro.
E allora io, con l’aria più ingenua che potei:
– Vuoi farti visitare anche tu, cara?
Si stizzì fieramente, com’io prevedevo, e rifiutò».

Neanche a dirlo, il male (quel male) – ben individuato dal marito la cui acutezza è qui inversamente proporzionale alla grossolanità – si acutizza, si moltiplicano le schermaglie di non detti e di intendimenti opposti tanto da apparire quasi un gioco sociale, il tipico giuoco sociale del triangolo, con i modi della commedia: il marito moltiplica – con gusto – le profferte di chiamare il medico per la donna, quel medico – dacché è cosciente, tacendolo, che di quel male si tratti –, la donna rifiuta… Ed infine, ancora una volta lasciando esprimere alla parola l’esatto contrario dell’intenzione, chiede sì che il marito convochi il medico ma… un altro, un innocuo

«vecchiotto ispido, asmatico, quasi cieco, già mezzo giubilato, ora giubilato del tutto, all’altro mondo».

Locandina per la rappresentazione de Il giuoco delle parti al Gramercy Arts Theatre, a Manhattan (1961?) - Immagini reperite su web

Locandina per la rappresentazione de Il giuoco delle parti al Gramercy Arts Theatre, a Manhattan (1961?) – Immagini reperite su web

Il gioco della manipolazione ha successo e il marito, consapevole e divertito complice, assiste via via alla prosecuzione del minuetto, del giuoco delle parti, durante le passeggiate… terapeutiche del terzetto: perfettamente en role, il medico formale e sdegnosetto nella sua

«impostatura altera e compunta si congratulava con me della rapida miglioria; m’accompagnava alla fonte e poi su e giù per i vialetti del parco, non mancando ai debiti riguardi verso mia moglie, ma curandosi pochissimo, nei primi giorni, di lei»,

e la moglie, i cui desideri restavano sempre apparentemente frustrati,

«che ne gonfiava, s’intende, in silenzio».

Quindi, sempre sotto gli occhi del marito, i due giungono alla fase del battibecco galante, in cui la donna ripropone e duplica le tematiche già sperimentate col marito e si trova a dover dissimulare accuratamente la propria reazione alle ragioni opposte dal medico …che sono identiche a quelle del marito, anche perché, così come evidenziato dalle analoghe vicissitudini prematrimoniali, il medico non è in fondo che il doppio del marito.

Pirandello con amici in una rappresentazione teatrale sul terrazzo della sua casa a Roma, 1905 - immagini reperite su web

Pirandello con amici in una rappresentazione teatrale sul terrazzo della sua casa a Roma, 1905 – immagini reperite su web

Finché … quel male, il «mal di cuore», piuttosto che passare, naturalmente «crebbe di giorno in giorno» e non si rese necessaria la tanto allusa visita medica, proposta e respinta via via, finché, appunto la moglie non …cede, naturalmente a ciò che aveva desiderato sin dall’inizio:

«E guardi un po’ che razza di parte tocca talvolta di rappresentare a un povero marito! Sapevo benissimo ch’ella voleva esser visitata dal dottor Loero e ch’era tutta una commedia l’antipatia che questi le faceva, una commedia la pretesa d’esser visitata invece da quel vecchio asmatico e rimbecillito, come una commedia era quel suo mal di cuore. Eppure dovetti fingere di credere sul serio a tutt’e tre le cose e sudare una camicia per indurla a far quello che lei, in fondo, desiderava».

La lessicalizzazione precisa (parte… rappresentare… commedia… fingere) evidenzia la consapevolezza, nell’uomo, che non si tratti che di teatro: e nello scrittore che a teatro in fondo non possa che ridursi l’esistenza umana – non solo sociale – nel suo gioco di ruoli, finzioni, mistificazioni.

Neanche a dirlo, sotto gli occhi del medico la moglie si «disfa» nel «tremore», nel «turbamento» al marito ben noti nell’intimità coniugale: la finzione (fictio), la rappresentazione, è perfetta, la realtà non poteva maggiormente separarsi dall’apparenza, la sostanza dalla maschera, il significato dal significante, dalla parola:

«Poteva bastare, no? Una moglie rimane onestissima, illibata, inammendabile, dopo una visita come quella; visita medica, c’è poco da dire, sotto gli occhi del marito».

La realtà appare irreversibilmente mascherata dal solito gioco della parola contraffatta ad esprimere il contrario di ciò che si vuole, di ciò che è.

«Nomina nuda tenemus»:

come nel noto emistichio del De contemptu mundi di Bernardo di Cluny, la realtà da essi significata, come la fedeltà della moglie, s’era defilata da un pezzo.

D’altronde, anche senza dover scomodare il nominalismo dai Sofisti al Cratilo platonico a Guglielmo di Occam – in un filone che arriva a Nelson Goodman),

«che cosa è un nome? Non è una cosa seria»,

avrebbe esclamato il protagonista della novella Non è una cosa seria, pubblicata nel 1910 e poi drammatizzata in Ma non è una cosa seria, rappresentata per la prima volta al Teatro Rossini di Livorno nel 1918.

Né peraltro in Acqua amara si fanno nomi propri, se non per una necessaria distinzione tra i medici, il giovane, Loero, e il «vecchiotto», non altrimenti specificato: i due personaggi principali, moglie e marito, in questo giuoco delle parti, non sono lessicalizzati se non mediante il loro ruolo, appunto.

Pirandello conversa con Ruggeri al teatro Argentina

Pirandello conversa con Ruggeri al teatro Argentina

Non diversamente avrebbe affermato Leone Gala, il protagonista de Il giuoco delle parti, rappresentata nello stesso 1918:

«la parte assegnatami da un fatto che non si può distruggere, resta: sono il marito».

Non a caso il nucleo significativo e la situazione risolutiva, il duello, per di più analogamente nella ideazione della moglie, sono condivisi, fatte salve notevoli differenze, dalla novella qui in lettura, e dalla coppia formata dall’altra novella, del 1913, Quando s’è capito il giuoco, e appunto dalla, peraltro più complessa, commedia appena citata di cui da quest’ultima avrebbe ripreso la situazione.

Con il Leone Gala del dramma, come anche con il protagonista de La rosa e de La carriola, e d’altre novelle, il protagonista di Acqua amara (al di là della rozza carnalità che ne sfata la condizione eroica) condivide, ma qui solo abbozzata, una visione «da lontano», un tentativo in particolare di contemplazione cosmica relativizzante che ridimensiona le vicende umane alienandosene.

Un tema spesso significativamente ripreso da Pirandello: esempi ne siano Pallottoline!, novella composta forse nel 1895 e pubblicata tre anni prima di Acqua amara, nel 1902; l’assai successiva Rimedio: la geografia del 1920-22,   e Il fu Mattia Pascal.

«Non lo sa nemmeno lui [il grillo].
Canta.
E tutte le stelle tremano nel cielo. Lei le guarda. Bella professione, anche quella delle stelle! Che stanno a farci lassù? Niente.
Guardano anche loro nel vuoto e par che n’abbiano un brivido continuo.
E sapesse quanto mi piace il gufo che, in mezzo a tanta dolcezza, si mette a singhiozzare da lontano angosciato. Ci piange lui, dalla dolcezza».

Chiesa della Collegiata vista dalla pensione di Pirandello a Chianciano - immagine già su web,  rete.comuni-italiani.it:foto:2012:74324:view , i diritti appartengono ai rispettivi proprietari

Chiesa della Collegiata vista dalla pensione di Pirandello a Chianciano – immagine già su web, rete.comuni-italiani.it:foto:2012:74324:view , i diritti appartengono ai rispettivi proprietari

Proprio mentre il protagonista è assorto a guardar le stelle, che a loro volta con prodigioso ribaltamento del cannocchiale pirandelliano «guardano nel vuoto», gli si presenta in casa qualcuno che, in convegno medico, aveva intanto sondato altre possibilità ‘terapeutiche’, rispetto all’acqua:

«Erano venuti da Firenze, da Perugia e da Roma cinque o sei medici, per la cura dell’acqua, ed egli [Loero], col farmacista, aveva pensato bene di dare una cena ai colleghi, nell’Ospedaletto della Croce Verde, dietro la Collegiata, lì vicino a Rori.
Allegra, come lei può immaginare, una cenetta all’ospedale!
E altro che cura d’acqua! s’erano ubriacati tutti come tanti… non diciamo majali, perché i majali, poveracci, non hanno veramente quest’abitudine».

Il medico bellimbusto, «ubriaco fradicio», insiste a voler parlare al marito della moglie, a chiedere che la svegli,

«perché con lui ci stava, la signora Carlottina, oh se ci stava! e come! Bella puledra ombrosa, che sparava calci per amore, per farsi carezzare… E via di questo passo, sghignazzando e tentando con gli occhi, che gli si chiudevano soli, certi furbeschi ammiccamenti».

L’elegante finzione sociale si è incrinata, il gioco galante dell’inganno in cui tutti mascherano il proprio ruolo – di amanti, di cornuto – è oscurato dall’ebbrezza non meno che quegli occhi che avrebbero voluto ma erano di fatto incapaci di ammiccare: il medico incosciente ha ormai smesso di mentire

«nella beata incoscienza del vino, aveva perduto ogni nozione sociale e civile e gridava in faccia la verità allegramente».

Indifferente alle grida della moglie che lo aizza, il marito allontana l’ospite incomodo con un premuroso «spintone» e torna in camera da letto, dove naturalmente, delusa dall’esito, trova la moglie in preda ad una crisi, «frenetica addirittura»: ella, trascorrendo  dalla violenza del «furore» al «dileggio», lo accusa d’essere un debole, un vile, neghittoso nel difendere l’onore della moglie offeso in casa sua!

Bozzetto scenico di Guido Salvini per il II atto de Il giuoco delle parti, Genova 1926 - Immagini reperite su web

Bozzetto scenico di Guido Salvini per il II atto de Il giuoco delle parti, Genova 1926 – Immagini reperite su web

Nella notte, il marito, che aveva deciso dapprima di soprassedere, si sente vellicato dall’idea del duello: all’incertezza pone fine senz’altro la sfida che vengono a lanciargli i padrini del medico, che ha subito assunto paradossalmente il ruolo dell’offeso, padrini di cui uno è lo stesso «maggiore in ritiro» esperto di cose «di cavalleria» che avrebbe voluto egli stesso consultare!

I colpi ovviamente vanno a vuoto, ma l’ultimo coglie il medico di striscio. A quel punto, com’è di prassi, com’è nella parte in quell’ulteriore gioco nel gioco, i suoi padrini gli consigliano di fuggire e così avviene.

La conclusione della storia, paradossale e impensabile, ma solo fino ad un certo punto, al protagonista è svelata «il giorno dopo», suscitandogli ugualmente emozioni specularmente contrarie a quali sarebbero state richieste dal suo ruolo, ma perfettamente conseguenti alla sua consapevolezza del teatro, del giuoco cui aveva dovuto continuare ad assoggettarsi, al sollievo d’essersi liberato di un male, il mal di fegato, in cui s’era concretizzato il male più grande, la trappola del matrimonio, un sollievo reso perenne dall’annuale pellegrinaggio ‘per grazia ricevuta’ alle terme, così come all’inizio aveva preannunciato:

«Soffrivo di fegato; ma grazie a Dio, mi sono liberato della moglie; son guarito. Vengo qua, da tredici anni ormai, per atto di gratitudine».

Purtroppo però il male è contagioso… e s’è propagato proprio all’“offeso”, all’“amante”, nell’atto stesso in cui ha abbandonato il “marito”!

Simbolo pressante e incombente di quel male, la moglie, la cui condizione e funzione semplicemente si ‘sposta’, da un uomo all’altro.

Non è forse nemmeno lei un personaggio complesso, stratificato, come Silia Gala, ma neppure una bozza informe di isterismo polemico maschilmente voglioso (tuttavia, rispetto al modello, più subdolo).

Rimane, infatti, anche nell’esito della seconda sezione, quale fondo oscuro della costruzione umoristica del personaggio, la sua esistenza avvilita, prigioniera, psicologicamente e socialmente, ribadita nel suo ripiegarsi, ancora una volta, su una figura virile che, in ulteriore duplicazione, del marito è giusto il doppio, uno specchio esteriormente non deformato come quegli, ma peraltro privo della consapevolezza della malattia e della finzione teatrale che l’altro aveva potuto dimostrare pur a livello minore, non esente nell’aggettivazione da pungenti tratti di squallore, nella sua «fi… filosofesca» attitudine.

Pirandello con Antonietta (la prima da sinistra) e parenti, nel 1894

Pirandello con Antonietta (la prima da sinistra) e parenti, nel 1894

Al marito in definitiva resta ora, a lui e non al suo alter ego, la possibilità di contemplare «da lontano», con distacco e sollievo, e in più di far opera di… prevenzione sanitaria nei confronti dei potenziali ammalati. Una missione cui l’Autore pare d’altronde alludere con ironia, dacché il personaggio che s’è rivelato astuto senza volerlo e consapevole del giuoco, è sempre quello verso il quale non aveva a sua volta nascosto a sua volta il proprio distacco, l’impossibile eppur ineludibile immedesimazione, la distanza dalla miseria umana di un eroe che mai e a nessun conto sarebbe potuto esser tale: ma così umano anche nella sua meschinità.

Alla rivelazione dell’esito del duello, la reazione immediata del marito era stata di

«gioja e di rammarico a un tempo: di gioja per me, di rammarico per il mio avversario, il quale, dopo una palla in fronte, pover’uomo, non se la meritava davvero.
Riaprendo gli occhi, nell’Ospedaletto della Croce Verde, il dottor Loero si vide innanzi un bellissimo spettacolo: mia moglie, accorsa al suo capezzale per assisterlo!
Della ferita guarì in una quindicina di giorni: di mia moglie, caro signore, non è più guarito.
Vogliamo andare per il secondo bicchiere?»

__________________________________

L’ambientazione

La copertina di Pirandello racconta Chianciano: Acqua amara e Pallino e Mimì

La copertina di Pirandello racconta Chianciano: Acqua amara e Pallino e Mimì

* La novella, sulle orme del termalismo mondano dell’alta società della belle époque, è ambientata a Chianciano: riconoscibile dai dettagli, oltre che delle Terme, della chiesa della «Collegiata» e dell’«Ospedaletto della Croce Verde»: la chiesa, la Torre dell’Orologio, Porta Rivellini sono citati anche nell’altra novella di uguale ambientazione, Pallino e Mimì.

Lo stesso Pirandello, alcuni mesi prima della pubblicazione di questa novella – e trovando alloggio nel centro storico, presso la Pensione Brugi Ronchi, di fronte alla Collegiata – vi aveva accompagnato con i figli Antonietta, alla ricerca a loro volta, se non di un impossibile remedium, di un solacium all’assedio della paranoia che estenuava la donna e di riflesso anche il marito, che (come esprime nella lettera a Ojetti) se ne era assunto la follia.

__________________________________

L’esito drammaturgico

La situazione risolutiva della novella, il duello aizzato dalla moglie, come peraltro la definizione sclerotizzante in ruoli, con il protagonista che sa demistificarle e trarne vantaggio – che a queste opere non si limitano – saranno riprese in Quando si è capito il giuoco,  del 1913, e nella commedia Il giuoco delle parti, rappresentata nel 1918 al Teatro Quirino di Roma, dalla Compagnia Ruggero Ruggeri, con questi nel ruolo di Leone Gala, affiancato da Vera Vergani (Silia), Amilcare Pettinelli (Guido Venanzi).

__________________________________

In estrema sintesi

La sintesi è di
Elio Gioanola, in Pirandello’s story : la vita o si vive o si scrive, Milano: Jaca Book, 2007, p. 262.

Un grassone alle terme si dichiara felice per essersi liberato dalla moglie: «Sentivo dire matrimonio e, con rispetto parlando, mi si rompeva lo stomaco». Costui aveva sposato quella che prima era la sua amante ma le nozze avevano rovinato tutto e marito e moglie non erano più riusciti ad amarsi come prima. Lei aveva mostrato, durante una visita medica, molta attrazione per il dottore, che se l’era presa, dopo avere sfidato a duello il marito, ben contento di disfarsi della donna, diventata per lui un peso insostenibile

__________________________________

Nota bene.

– Com’è evidente, le immagini riguardanti la famiglia Pirandello o chiunque non hanno riferimento diretto col testo. –

et quod sequitur
Maria Amici


“Prima notte”, novella di Luigi Pirandello

– Novelle per un anno –

Prima notte

Novella di Luigi Pirandello, pubblicata sul settimanale Il Marzocco, rivista fiorentina di letteratura e arte, il 18 novembre 1900; confluì nella raccolta Bianche e nere, Renzo Streglio e C. Editori, Torino, 1904; poi in Novelle per un anno: Scialle nero, 1922.

In tale edizione, qui ripresa, è reperibile sul meritorio PirandelloWeb

Il Marzocco n. 48 del 2 Dicembre 1900. - Firenze : Tip. L. Franceschini, 1896-1932. - 37 v. ; 58 cm. Settimanale. - Poi editore: Vallecchi. - 50 cm.

Il Marzocco n. 48 del 2 Dicembre 1900

L’amore, la sessualità – specie, ma non solo, se negati da altri o inibiti per scelta personale propria –, il matrimonio, si ritrovano spesso nell’opera pirandelliana indissolubilmente legati al dominio lessicale e metaforico, contestuale e narrativo della
| morte | : tanto che Sciascia noterà: «Sempre in Pirandello l’amore avrà questo sentore di morte»*.

This image is in the public domain because its copyright has expired

Pirandello tra il 1870 e il 1873 – Immagine in pubblico dominio

Né sarà necessario scomodare il precoce macabro episodio* dell’iniziazione indiretta tra i cadaveri nella camera mortuaria – e quindi indelebilmente connotata dall’oscurità della colpa, tra «un frullìo e un ansimare» di una coppia clandestina, e dall’opprimente orrore della morte, della fragilità, del degrado –, a spiegare un personalissimo, intimo sgomento psicologico che non solo rifugge da spiegazioni sovrastrutturali (sociali, etiche, religiose..) ma soprattutto, malgrado gli accenni anche a particolari biografici nella sua opera, dall’Autore girgentino è schermato da un velo di enigmatica discrezione che tali allusioni proietta, sfuggenti, nell’indeterminatezza.

Se il matrimonio può essere considerato un trapasso ad altra vita, quale ne sia la consistenza reale si può ben comprendere infatti dalle connotazioni lugubri, funeree, luttuose che esso assume: e la novella che qui leggiamo ne è una chiara metafora.

Famiglia Pirandello a Soriano nel Cimino, con Rosso di San Secondo? e altri - forse Romagnoli?-, 1908-1912?

Famiglia Pirandello a Soriano nel Cimino, con Rosso di San Secondo(?) e altri, tra il 1908 e il 1912(?)*

Il mutamento sotteso al coinvolgimento nell’amore è di per sé frequentemente significato da Pirandello quale accesso (quasi un salto) in un «cerchio magico»*, un tuffo “ad occhi chiusi”* che può tradursi ugualmente in vita o morte: e morte anche dell’amore, nel momento stesso in cui quel cerchio allude alla realizzazione dell’amore stesso*.

Nelle opere del Girgentino, quasi mai amore e suo culmine-concretizzazione nel matrimonio – unica scelta ritenuta possibile ma ugualmente esiziale – si rivelano dinamiche strettamente collegate e compatibili. Se persiste l’uno, l’altro è

Pirandello legge a Marta Abba "Trovarsi", Lido di Camaiore, Agosto? 1932

Pirandello legge a Marta Abba “Trovarsi”, Lido di Camaiore, Agosto? 1932

per una rete di reciproci ‘veti’ impossibilitato quasi per proteggere quell’amore; se si addiviene all’altro, non è con chi si ama, o proprio il matrimonio catalizza una serie di sventure rovinose che annichilano l’amore e la persona stessa, come puntualizzano il citato Gioanola ma soprattutto una serie di occorrenze nell’opera pirandelliana*.

Tale concezione, come premesso, non si rifà solo alle contingenze sociali e storiche o biografiche, ma ritrova echi in un’intimità misteriosa, pura e turbata insieme, radicata nell’uomo Pirandello a profondità primigenie:  tuttavia, come l’Autore implicitamente denuncia, nella società a lui contemporanea – e ben al di là della propria esperienza sa che

Quietanza di Stefano Pirandello per somme prestategli dal genero Alfonso Agrò, 1900

Quietanza di Stefano Pirandello per somme prestategli dal genero Alfonso Agrò, 1900

l’uso percorre i secoli –, l’impulso al matrimonio di solito non ha connessione alcuna con motivazioni sentimentali ma proviene, particolare usuale e già svilente, dall’interesse economico.

Nel caso di Prima notte, si profila la necessità di dare sistemazione alla figlia, dopo la tragica morte del padre doganiere, che con altri due colleghi è perito in mare: e quel mare la cui massa livida e grigia si richiude sui naufraghi greve come il coperchio di una bara, ai lettori non solo di Verga e di Melville evoca e ribadisce associazioni funebri.

Di esse la novella è intessuta.

donne con scialle nero - immagine reperita su webNon solo il padre è morto, alla protagonista allora giovanissima, Marastella, pregiudicandole così – in un tale contesto – il futuro, ma altresì, nello stesso incidente sul lavoro, l’uomo segretamente amato. Ai funerali, quando le sfugge un singhiozzo disperato, inequivocabile, la madre di questi, stringendola a sé

«come per farla sua, sua e di lui, del figlio morto»

e ‘riconoscendola’ come «figlia», a lui assimilandola, per i parametri di quel sistema culturale atavico la ‘seppellisce’ socialmente insieme col proprio figlio.

La madre di lei, Mamm’Anto’, tuttavia non demorde: per sette anni tutto sacrifica per prepararle un corredo, con l’enumerazione delle componenti del quale la novella si apre: ma subito interviene a riaffermare il quadro di riferimento fondamentale la cassa in cui sono conservati i capi del corredo, che dovrebbero essere promessa di un futuro nuovo, di una nuova vita, e invece acquistano la connotazione d’un sudario:

«la vecchia cassapanca d’abete, lunga e stretta che pareva una bara».

D’altronde, anche l’abito da sposa non è bianco ma grigio: «una galanteria», ma perfettamente consono.

Lo sposo, don Lisi Chirico, non sfugge alla medesima atmosfera.

Foto scattata nel giorno del fidanzamento di Lietta. Da sinistra, Fausto, Luigi, Lietta, ?, Stefano?; alle spalle di Lietta, il fidanzato, il maggiore Manuel Aguirre Humeres, addetto militare dell'Ambasciata del Cile presso il Quirinale

Foto scattata nel giorno del fidanzamento di Lietta. Da sinistra, Fausto, Luigi, Lietta, ?, Stefano?; alle spalle di Lietta, il fidanzato, il maggiore Manuel Aguirre Humeres, addetto militare dell’Ambasciata del Cile presso il Quirinale

La prima considerazione che su di lui oppone alla scelta materna Marastella è il suo esser «quasi vecchio». Non è naturalmente solo un dato fisiologico ma storico-antropologico: come tipico sin dalle società arcaiche, in cui frequente e prevista in una prospettiva di potere e autorità era la distanza anagrafica tra sposo e consorte, per cui la fanciulla dalla tutela paterna passava a quella analoga del marito – coetaneo del padre,

«sarebbe stato […], di quest’altra [moglie], padre e marito insieme»,

così si propone lo stesso Chirico.

Man mano nella novella si punteggiano le osservazioni sull’aspetto fatiscente dello sposo, aggravato sia dalla barba bianca sia dall’impressione delle guance incavate dopo che se la rade per apparire ..più giovane.

In più egli, sì, ha uno stipendio fisso, però come becchino, e infatti abita accanto al cimitero: cosicché la sposa andrebbe ad abitare in una «cameretta bianca, pulita, piena d’aria»: un’aggettivazione che talora accompagna nell’immaginario comune la camera mortuaria.

E’ inoltre un vedovo inconsolabile – tanto che si lamenta con la sorella perché vorrebbe limitare i ‘festeggiamenti’ sponsali per non distaccarsi da un’atmosfera di lutto -: ma subito interviene, in quelle mentalità primitive, la motivazione greve, materiale e utilitaristica. Principalmente, si risposava

«più per forza che per amore, dopo un anno appena di vedovanza, perché aveva bisogno d’una donna lassù, che badasse alla casa e gli cucinasse la sera. Ecco perché si riammogliava»:

perché ha bisogno, dunque, e un bisogno che non ha nulla di spirituale.

Foto di famiglia 1888: i genitori Stefano e Caterina, i fratelli Enzo e Giovanni, la  sorella Annetta. N.b. sul libro che il padre tiene fra le mani, una mano ignota ha scritto a penna Mal Giocondo

Foto di famiglia 1888: i genitori Stefano e Caterina, i fratelli Enzo e Giovanni, la sorella Annetta. N.b. sul libro che il padre tiene fra le mani, una mano ignota ha scritto a penna Mal Giocondo

Anche questo risulta dato assolutamente non insolito sia nella società e nella psicologia indotta, sia nella pensosa, corrosiva elaborazione nelle novelle pirandelliane: un dato che, insieme con l’interesse della famiglia d’origine alla ‘sistemazione’ della figlia, ribadisce la condizione femminile di sudditanza all’interesse economico e materiale in ogni senso, così come l’interesse spesso eminentemente legato, nel maschio, a risolvere il soddisfacimento del bisogno sessuale e dell’economia domestica, a ribadire la traumatica condizione umana, esistenziale, per come essa via via s’aggroviglia.

Che la cerimonia nuziale sia un corrispettivo di quella funebre è sottolineato da più segnali: l’accompagnamento alla sposa nella sua nuova casa e poi lo sfilare degli invitati nel loro ritorno verso le proprie case si configura come un corteo funebre, senz’altro ribadito sia dai partecipanti sia dagli osservatori:

«Pareva un mortorio, anziché un corteo nuziale. E nel vederlo passare, la gente, affacciata alle porte, alle finestre, o fermandosi per via, sospirava: – Povera sposa!»

Come si confà più al funerale che alle nozze, bagnate tradizionalmente di un pianto diverso

(«Piange la figlia nel lasciare la madre; piange la madre nel lasciare la figlia. Si sa!»),

scorrono lacrime continue, prima e dopo il momento dell’unione in matrimonio, e soprattutto quando, dopo la festa nuziale, gli invitati defluiscono, e poi coloro che hanno accompagnato la sposa alla sua nuova residenza se ne tornano a casa lasciandola sola con la madre e due amiche, allontanatosi lo sposo per suonare l’avemaria serale, interpretabile in tanti sensi come un segnale di congedo.

Luigi Pirandello, La Trappola. Progetti di copertina per libro. Olio su tela. Collez. privata. Immagine reperita su web

Luigi Pirandello, La Trappola. Progetti di copertina per libro. Olio su tela. Collez. privata. Immagine reperita su web

Ricollegabile al, tutto pirandelliano, sistema di apparenze e finzioni che la madre della sposa e la sorella dello sposo tentano di costruire per invogliare (intrappolare, si direbbe, con parola chiave?) la sposina, e intanto mistificandone e fraintendendone le reazioni, già attivato nell’iniziale tentativo di mitigare le perplessità di Marastella sul ‘pretendente’, la madre di fronte alle sue lacrime risulta estranea alle ragioni intime del dolore della figlia, le reinterpreta nel modo che più può a sua volta seppellire non solo nel non detto ma nell’obnubilamento della consapevolezza. (Altro che profondità del legame affettivo familiare, di cui cianciano alcune analisi non solo su web quale tema della novella…)

Più sagace invece lo sposo:

«Comprendeva e compativa. Aveva coscienza che la sua persona triste, invecchiata, imbruttita, non poteva ispirare alla sposa né affetto né confidenza: si sentiva anche lui il cuore pieno di lagrime».

La commozione è peraltro subito riportata ad una chiusura nell’ego: non può ammettere in sé che la moglie precedente, nessun’altra che la moglie defunta egli può piangere. E tuttavia dinanzi alla ‘sua’ «crocetta di quel camposanto» da lei aveva preso commiato, s’era «licenziato», dacché aveva promesso che

«sarebbe stato tutto di quest’altra, padre e marito insieme; ma le nuove cure per la sposa non gli avrebbero fatto trascurare quelle che da tant’anni si prendeva amorosamente di tutti coloro, amici o ignoti, che dormivano lassù sotto la sua custodia.
Lo aveva promesso a tutte le croci in quel giro notturno, la sera avanti».

In definitiva, il legame avvertito come insolubile, imprescindibile, non è quello con la donna, non con la moglie morta né con quella viva: bensì quello con i ‘suoi’ morti, ribadito dalla promessa di proseguirne la cura, la «custodia». Non si vive che in funzione della morte.

La conclusione della novella, con quella sua venatura di paradosso umoristico, è consequenziale, e ancora una volta si distacca dall’ambito realistico-naturalista che pur fa da ambientazione alle novelle di Pirandello.

Ormai soli, la sposa chiede allo sposo di condurla alla tomba del padre, ma il becchino sa bene chi ella cerchi: «C’è anche lo Sparti», l’avverte brevemente.

L’uomo un tempo amato condivide la porzione del cimitero così come il regno dei morti col padre (nuovamente unificate, le due figure), ed entrambi di fatto avevano seppellito e assimilato a sé anche Marastella*.

Cimitero di Pere Lachaise

Cimitero di Pere Lachaise

I due così, marito e moglie, si aggirano nel cimitero, al «lume» evocativo della «lanterna del cielo», alla ricerca dell’altro, del proprio doppio, del corrispettivo in cui sono evidentemente annullati, assimilati e morti essi stessi al mondo, in un’esclusione sancita come definitiva.

Marastella sulla tomba del suo vecchio pretendente, don Lisi su quella della moglie, si abbandonano al pianto disperato e da esso più che da ogni altra cosa sono accomunati: ed è questa la loro Prima notte, in cui pure, presenziando Ecate – la luna – si celebra un’unione e una ulteriore comunanza alternativa, ancora più ancestrale, col mondo dei morti.

Così come la vita presente e reale in tutte le sue componenti, personaggi, atti, luoghi, parole, è continuamente rimetaforizzata dai rinvii lessicali al dominio funebre, altresì di fatto sfuma continuamente nella predominante, ingombrante presenza e contiguità della morte, del cimitero, delle tombe, di una devozione persistente che, nella prospettiva dell’effimero di fronte ad una condizione segnata dall’eterno, soggioga ed esclude ogni altra.

__________________________________

 Un consiglio per la bibliografia
– e note –

* Leonardo Sciascia, Pirandello e la Sicilia, Caltanissetta-Roma : S.Sciascia, 1961; Milano : Adelphi, 1996. E precisamente:

«Sempre in Pirandello l’amore avrà questo sentore di morte. Non l’idea della morte: ma la fisica putrescente presenza della morte. O sarà intorbidato dalla pazzia. O avvelenato dalla incomprensione e dai tradimenti».

La copertina de "L'uomo delle contraddizioni. Pirandello visto da vicino", di Luigi Filippo D'Amico

La copertina de “L’uomo delle contraddizioni. Pirandello visto da vicino”, di Luigi Filippo D’Amico

* Alla traumatica rivelazione dell’amore carnale che sarebbe incolta al Pirandello bambino nella torre adibita a obitorio, si trova cenno in Luigi Filippo D’Amico, L’uomo delle contraddizioni: Pirandello visto da vicino, Palermo : Sellerio, 2007 (anche in Pirandello visto da vicino. Dieci conversazioni di L.F. Camilleri, Biografia del figlio cambiato copertinaD’Amico per il Terzo Anello di Radio3), che farebbe tesoro di racconti della suocera Lietta; in Marco Manotta: Luigi Pirandello, Milano : B. Mondadori, 1998; in Andrea Camilleri, Biografia del figlio cambiato,  Milano : Rizzoli 2000; in Elio Gioanola, Pirandello’s story: la vita o si vive o si scrive, Milano: Jaca Book, 2007; e inoltre in Luciano Lucignani, Un uomo solo, laRepubblica 02.12.1986.

Valeria Moriconi in Trovarsi, di Luigi Pirandello, regia G. Patroni Griffi

Valeria Moriconi in Trovarsi, di Luigi Pirandello, regia G. Patroni Griffi

* Il «cerchio magico» ha una valenza misterica, secondo la concezione atavica ripresa dalla Grecia arcaica, così come la ha in quella sorta di girotondo delle bambine che, tradotto, si chiamava tartatartaruga; il sintagma è ad esempio tratto da La rosa, reperibile su PirandelloWeb. Ci si sofferma su di esso nella lettura de La rosa su Nephelai).

Pirandello: Trovarsi, ed. Mursia. In copertina, Marta Abba

Pirandello: Trovarsi, ed. Mursia. In copertina, Marta Abba

* «Chi ama, chiude gli occhi» è, per esempio, proprio uno dei nodi fondamentali (ribadito dalle numerose occorrenze del sintagma ‘chiudere gli occhi’) che aggruma la situazione umana ed esistenziale della donna e della donna-attrice, e in assoluto dell’Uomo, nel Trovarsi scritto nel luglio-agosto 1932 e rappresentato il successivo 4 novembre. Reperibile su PirandelloWeb qui.

* Forse su questa stessa foto a Soriano – che, nel caso, sarebbe “datata 1910: con alle spalle la mole del Castello Orsini, un gruppo di signori posa davanti all’obiettivo. Pirandello vi appare con la moglie e i figli, accanto al commediografo Pier Maria Rosso di San Secondo e al grecista Ettore Romagnoli” – si veda l’articolo di Matteo Collura Pirandello in fuga dal suo “personaggio”, pubblicato sul Corriere della Sera dell’11 agosto 1997, reperito su web.

* Si legga per esempio la già citata La rosa su Nephelai.

* Per tali considerazioni in particolare non ci si limita a Gioanola, infra citato, p. 261.

Maria Callas interpreta la Medea di P.P. Pasolini (1969)* Nell’antichità greca e latina era connesso al processo di identificazione nel lutto, per esempio, che specie le donne (ma non solo) nel compianto funebre si strappassero i capelli, si lacerassero gli abiti e si coprissero il capo di terra e cenere per rendersi simili, identificandosi, ai loro morti.
Tanto che presto, per chi se lo poteva permettere, si ovviò al disagio con la creazione di una figura ‘professionale’, la prefica (il lemma deriva dal latino praefica), che compiva, prezzolata, quegli atti e tramandava le nenie funebri.

__________________________________

In estrema sintesi

La sintesi è di
Elio Gioanola, in Pirandello’s story: la vita o si vive o si scrive, Milano: Jaca Book, 2007, p. 261.

“Una ragazza perde il fidanzato in un naufragio e la madre le trova come marito un vedovo che può contare, come becchino, su una paga di cinque lire al giorno: «Pareva un mortorio, anziché un corteo nuziale»”.

Nota bene.

– Le immagini riguardanti la famiglia Pirandello o Marta Abba o chiunque non hanno riferimento diretto col testo. –

et quod sequitur

Maria Amici


un Gran Me e un piccolo me: c’è qualcuno che sta vivendo la mia vita

Luigi Pirandello, professore di Estetica

Luigi Pirandello, professore di Estetica

“In me son quasi due persone:
Tu già ne conosci una;
l’altra, neppure la conosco bene io stesso.

Voglio dire, ch’io conto d’un gran me e di un piccolo me:
questi due signori sono quasi sempre in guerra tra di loro:
l’uno è spesso all’altro sommamente antipatico.

Il primo è taciturno e assorto continuamente,
il secondo parla facilmente, scherza e non è alieno dal ridere e dal far ridere.

Io sono perpetuamente diviso tra queste due persone.
Ora impera l’una, ora l’altra. Io tengo naturalmente moltissimo di più alla prima,
voglio dire al mio gran me; mi adatto e compatisco la seconda, che è in fondo un essere come tutti gli altri, coi suoi pregi comuni e coi comuni difetti.

Luigi Pirandello e Antonietta nella casa in via Sistina, Roma - immagine in pubblico dominio in Italia

Luigi Pirandello e Antonietta nella casa in via Sistina, Roma

Quale dei due amerai di più,

Antonietta mia?

In questo consisterà
in gran parte
il segreto della nostra felicità„

Dalla lettera di Luigi Pirandello alla fidanzata, Antonietta Portulano,
del 17 gennaio 1894

.

.

Il 2 novembre 1895, Pirandello pubblicherà sulla rivista “La Tavola rotonda” la prima parte dei Dialoghi tra il Gran Me e il piccolo me – seguitando poi altrove sino al 1906 -.

(Qui è reperibile il testo dei Dialoghi)

La frase del titolo del post

“c’è qualcuno che sta vivendo la mia vita. Io non ne so nulla„

è tratta da uno dei Taccuini di Luigi Pirandello.

et quod sequitur

Maria Amici

Pirandello, foto di famiglia con moglie e bambini piccoli (Lietta, Fausto, Stefano seduto a terra)

Pirandello, foto di famiglia con moglie e bambini piccoli (Lietta, Fausto, Stefano seduto a terra)


Emeroteca Maurolico Messina

Emeroteca del Liceo Classico "Maurolico" di Messina

Giovanni Pistolato

Blog letterario

Oggi nella Storia

"Oggi nella Storia" è un almanacco storico. Ogni giorno, scorrendo il calendario all'indietro, l'appuntamento con un avvenimento del passato.

Nephelai

........................... phrontisterion sospeso di MARIA AMICI

Andrea Amici

Musica e scrittura nel labirinto della conoscenza umana

Il Blog di SanPaoloStore

Il Blog Ufficiale di San Paolo Store. Trovi recensioni e consigli su libri italiani, libri religiosi, libri per bambini, film in dvd e musica , oggetti sacri e articoli religiosi disponibili all'acquisto su SanPaolostore.it

Profumo d'antan

........................... phrontisterion sospeso di MARIA AMICI

LA LOCANDIERA

........................... phrontisterion sospeso di MARIA AMICI

Andrea Amici

........................... phrontisterion sospeso di MARIA AMICI

Rita Charbonnier

........................... phrontisterion sospeso di MARIA AMICI

existences!

philo poétique de G à L I B E R