..ecco, ero in ambasce perché dovevo affrontare, più per motivi didattici (un buon esercizio per far pratica col latino della grammatica e della sintassi, mediante l’”Analogia”, direbbe Cesare stesso) che per convinzione quanto alle tematiche, la lettura, in “classico latino”, del De Bello Gallico.
D’un tratto, misericordiosamente, ho avuto la pur semplice intuizione che è un esempio mirabile – ed elegante e sobrio – di ‘parole del guerriero’ (*)
La fantasmagoria di giustificazioni teoriche che trascina un uomo a combatterne un altro (in genere per conto di terzi).
La conquista della Gallia, atto di impronta imperialistica più che netta, da parte di Roma, viene da Cesare presentata – ad un’opinione pubblica plaudente – come una strategia difensiva, e Cesare stesso (peraltro così attento ai gusti del destinatario) come chi vi è assolutamente costretto: Roma si fa carico di proteggere gli alleati, che sarebbe non solo detrimentum, ma anche uno sfregio (il contrario di ornamentum, entrambe parole cesariane) abbandonare.
Gli atti di guerra offensiva non sono che una misura preventiva.
E se anche i Galli vengon mostrati anelare alla libertà, non è, no, per partecipare alle loro speranze, per dar Cesare voce a genti che la storia ha dimenticato ricordando solo le ragioni del vincitore…
Non c’è nulla (devo controllare però, prima di dirlo in classe) infatti della partecipazione segnalata dalla focalizzazione interna: invero, di essi vien sottolineata, indirettamente ma inequivocabilmente, la pericolosità sociale e politica, dacché il loro ribellismo è piuttosto una bomba ad orologeria: son barbari violenti, riottosi, faziosi, sotto la guida di tiranni folli che come Critognato si spingono al di là di ogni civiltà e di ogni aberrazione, addirittura invitando, nel resistere all’assedio dei Romani, al cannibalismo contro i più anziani (inoltrandosi quindi verso quelle terre desolate dalla civiltà e dall’umanità, che erano tipiche di genti, appunto, propriamente barbare – sin da Omero -: i Ciclopi, i Lestrigoni, e altri – sulla categoria del “mangiare altro” vorrei fermarmi, prima o poi(**) ).
Ed ecco che peraltro, Cesare (comandante che guida – e tiene a sé vincolato – un esercito di valorosi, indefessi, integri e fedeli militi), con quella sua prosa razionale, misurata, ed esente da evidenti autocelebrazioni, limpida e sobria, sottolinea infatti che Roma è invece portatrice di civiltà: già nella figura dello scrittore-condottiero, dalle profonde capacità analitiche, dalla sicura decisionalità tattica, dal lucido razionalismo, dalla capacità, in definitiva, di portar ordine – amaro alibi del dux -, nella realtà, come nel testo, ov’esso sia turbato.
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(*) il percorso tematico mi è stato suggerito e chiarito da una -memorabile- conversazione con il dott. Andrea Molle, che ringrazio. Qui certo ne risulta banalizzata
(**) vedi
Maria Amici