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Se studio o lettura evocano “duelli” pirandelliani, dal Il fu Mattia Pascal, a La rallegrata, a Ciascuno a suo modo, a Quando s’è capito il giuoco sino a, forse, il più noto e inquietante di tutti, appunto ne Il giuoco delle parti, spesso mi sovviene dei due duelli effettivamente “officiati” (è la parola…) nel parco del dispendiosissimo villino di via Onofrio Panvinio a Roma, di proprietà di Pirandello stesso: nati quale seguito di accesissime polemiche di “critica letteraria” sfociate, come spesso accadeva ai tempi per ogni contesto e pretesto, in ingarbugliate offese, precipitose richieste di padrini e, nelle parole di Lucignani, «frenetiche lezioni di scherma prese ventiquattr’ore prima»…

Duello Cecchi-A.G.Bragaglia, villino via O.Panvinio 1927; dir. Agesilao Greco, tra i secondi, Bontempelli – immagine degradata reperita su web
Alludo alle due note sortite, di Alberto Cecchi con Anton Giulio Bragaglia, di Massimo Bontempelli con, niente meno, Giuseppe Ungaretti**…
Avevo invece dimenticato* un diversamente peculiare motivo d’ironia da parte di Pirandello sul tema: dacché il drammaturgo siciliano in una di queste rocambolesche “sfide” rimase invischiato davvero…. |
. . ..e assai prima che in una ulteriore, che lo coinvolse solo indirettamente e come consulente (per di più discusso), quasi trent’anni dopo, quando Pompeo Abba «scazzottò» l’attore Giuseppe Zopegni (che fu impresario di Irma Gramatica) e, per quanto sconsigliatone appunto da un Pirandello ormai ben più saggio e smagato, inizialmente ne aveva dovuto accogliere i padrini. |
Dalle poche righe, a loro volta avventurose, qui di seguito vergate, emerge collaterale la vicenda dell’ancora incerta fortuna dei primi lavori teatrali dello scrittore futuro premio Nobel: quasi, apparentemente, non fosse …Pirandello – e un Pirandello che aveva capito il giuoco – ma uno dei tanti sconosciuti autori che tentassero di emergere, frequentatori di ambienti intellettuali e dibattiti sul Teatro nella capitale di fin de siècle, presi da un circolo vizioso di richieste, impegni, inadempienze, fughe e riproposte.
Dalla Compagnia di Flavio Andò con Tina Di Lorenzo, Pirandello aveva infine ottenuto la promessa che avrebbe di lì a poco messo in scena L’epilogo, un suo atto unico.
Era, questo, un dramma non nuovo e dall’esito non felice: Pirandello, sì, l’aveva scritto nel 1892, però aveva man mano… totalizzato una serie di rifiuti, dalla compagnia di Gian Battista Marini con Ermete Zacconi al Valle di Roma del 1892, a quella di Cesare Rossi (la “Città di Torino” scritturata al Valle per il carnevale del 1893); in seguito, nel novembre 1894, l’atto unico fu respinto da Teresa Mariani anche lei capocomica, ed esattamente un anno dopo da Ermete Novelli.
Nel 1897 lo scrittore ne dava lettura in casa dell’amico Luigi Capuana e L’epilogo si faceva forte finalmente dell’approvazione del ben noto e influente Eduardo Boutet, che quindi lo consegnava a Flavio Andò – attore che aveva lavorato con Ernesto Rossi e aveva in seguito costituito la Compagnia drammatica della Città di Roma con la più grande attrice italiana del tempo.
Andò a quel tempo –maligna Gioanola– aveva lasciato da alcuni anni appunto la sfortunata Duse per la più giovane e più prosperosa Di Lorenzo (o lei lui per Boito?).
Come che sia, capocomico e compagnia stanno partendo per la Russia ma promettono di rappresentare L’epilogo, lo annunciano persino in cartellone. Però non ne fanno nulla e, peggio, Andò non si fa più sentire.
L’autore scrive per chiedere spiegazioni, e l’attore risponde che …la Di Lorenzo non può recitarlo per un infortunio – evidentemente dai lunghissimi strascichi…–: probabilmente frammette pretesti banali e Pirandello non la prende bene.
Chissà se gli si richiamò alla mente un’altra serie di rifiuti, provenuta dallo stesso Andò, ma allora in coppia con la Duse, verso lavori di un giovanissimo Pirandello oggi perduti. En passant, alla Duse in tournée a Palermo già nel 1887 egli aveva progettato d’offrire una commedia.
Già provato dunque, il girgentino si innervosisce e appunto non vuol sentir scuse, esige che gli si contesti il motivo reale: permaloso, “ugualmente” permaloso secondo alcuni, Andò si offende e lo sfida a duello.
Pirandello non si scompone e, consapevole o no, sta al gioco: accetta.
Il duello però non ebbe luogo: pare che si interponesse, stavolta con maggior successo, ancora il Boutet… |
> > (Questi pure peraltro, quasi vent’anni prima, aveva dovuto affrontare un duello per aver “difeso” criticamente la rivoluzione rappresentata dalla recitazione dusiana, rispetto a quella assai più tradizionale di Virginia Marini…) |
Pirandello comunque per il momento sfruttò la battuta d’arresto con il teatro volgendosi alla narrativa: in più, e come nel caso di Perché? del 1892, altro allestimento rifiutato, anche L’epilogo trovava la strada della pubblicazione a stampa, sul settimanale «Ariel», nel marzo 1898; inoltre, e rappresenta uno tra i pochi casi in cui il testo drammatico precede la novella, era stato ripreso ne La paura, pubblicata ne «La domenica italiana» il 1 agosto 1897 (successivamente inclusa nell’Appendice alle Novelle per un anno).
Quale …l’epilogo della vicenda? Anni dopo, il 9 dicembre 1910, al Teatro Minimo di Nino Martoglio a Roma, veniva data la prima assoluta de La morsa e di Lumie di Sicilia che l’amico commediografo e direttore di compagnia aveva voluto presentare insieme: e La morsa, ancora, non è un dramma inedito, bensì la rielaborazione appunto …de L’epilogo, con nuovo titolo.
In linea col paradosso “pirandelliano” pare che, a differenza di Lumìe di Sicilia, il pubblico abbia ben più gradito, stavolta, proprio La morsa…
E La morsa segna convenzionalmente, per gli studiosi, l’avvio della stagione teatrale pirandelliana, così come Il fu Mattia Pascal (1904) il sigillo esteriore di una più profonda maturazione umana e di poetica – di cui peraltro non erano mancati chiari prodromi nella produzione precedente.
La scollatura stridente tra la ‘maschera’ e il ruolo effettivo, e la ‘persona’, l’impossibilità irritante di individuare – e solidarizzare con – un (personaggio, uomo…) “vittima” – o, come ne La morsa, un puro |innocente| –, il disinganno, l’estraniamento, il preteso equilibrio e l’apparenza, ulteriormente fallace, della ricostruzione di un nuovo sé tracciano forse una sorta di trait d’union tra le rielaborazioni artistiche pirandelliane che coinvolgono l’espediente narrativo e drammatico del ‘duello’ …

Locandina per la rappresentazione de Il giuoco delle parti al Gramercy Arts Theatre, a Manhattan (1961?) – Immagini reperite su web
A ripercorrere gli aneddoti legati alle continue, grottesche reiterazioni del rito del duello d’“onore” (…all’ “onore” e ai suoi “riti”…), ben si comprende come a latere di tali forsennate, cervellotiche “celebrazioni”, la fantasia poetica dello scrittore avesse potuto accendersi, caustica, e illuminare -di sbieco- la stanza della tortura, non mancando di evidenziarne, a ‘smontarlo’, la metafora pateticamente involontaria di un gioco delle parti vuoto e ipocrita, non solo ‘della società’ ma ‘dell’Uomo’: l’umana dialettica -dei rapporti non meno che dell’Essere-, e i suoi pretesi codici…
M’era sfuggito*, invece, che in proposito l’ironia e il bruciante umorismo di Pirandello potessero collegarsi, tra le radici contingenti (beninteso contingenti: non amo il biografismo nella critica), a motivi altresì più personali, e – come non raramente – mettessero in discussione, inquisitivi e impietosi, non meno che l’‘altro’, proprio il se stesso che era…
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Pagine disarticolate di bibliografia sulle opere
Sandro D’Amico, Itinerario di Pirandello al teatro ne «Il veltro, rivista della civiltà italiana», 1-2, febbraio-aprile 1968, a. 12, pp. 81-98 in particolare p. 88;
F. V. Nardelli, Vita segreta di Pirandello, Roma 1962, pp. 95-96;
Enzo Siciliano, L’isola: scritti sulla letteratura siciliana, a cura e con la postfazione di S. Ferlita, Manni Editori, Lecce 2003, p. 72;
Peripezie dell’atto unico “L’epilogo” in Luigi Pirandello drammaturgo, 1.5, ICON: Italian Culture on the Net;
Jane House, Pirandello’s Youthful Passion: Writing for the Theatre;
Ezio Gioanola, Pirandello’s story: la vita o si vive o si scrive, Jacabook, Milano 2007, pp. 89-90;

Didascalia scritta da Stefano Pirandello:
(Oggi 9 novembre 1934 mio Padre scriveva a macchina su questo foglietto mentre i fotografi e i cinematografisti lo riprendevano in posa). Stefano Pirandello. Data del (Conferimento del Premio Nobel)
Luciano Lucignani, Prima ti stronco, poi ti sfido, la Repubblica 1994.08.07, recensione a Gian Piero Brunetta, Spari nel buio. La letteratura contro il cinema italiano: settant’anni di stroncature memorabili, Marsilio 1994;
Ivan Pupo, Interviste a Pirandello: “parole da dire, uomo, agli altri uomini”, pref. di Nino Borsellino, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002;
Luigi Pirandello, Lettere a Marta Abba (1925-1936), pubbl. in collaborazione con Princeton University Press, I ed. I meridiani, A. Mondadori, Milano 1995;
Alfredo Barbina, “Fortuna” del Pirandello ‘siciliano’, in «Cultura e scuola». Rivista trimestrale, ed. Ente nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche, Roma, a. 13, n. 51, luglio-settembre 1974, pp. 20-31.
**Sullo scontro Bontempelli-Ungaretti, in arrivo un mini-inserto bibliografico con un’eventuale correzione.
Credits
* Poche ore fa, fu Silvia Montanari, i cui blog leggo spesso con vivo interesse, a ricordarmi che Pirandello stesso aveva ricevuto una sfida a duello: non focalizzavamo da parte di chi. Questo pur frettoloso post è un omaggio ad una passione condivisa…
et quod sequitur
Maria Amici
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“Chi ha capito il gioco..”: un excerptum particolarmente significativo nella nuova “pagina” sul blog “Nephelai” di Maria Amici (mia l’elaborazione dell’immagine)